L'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non è presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza
Con la sentenza n. 20937/2020, la Sezione III della Cassazione Penale, ha ribadito che "la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell'indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all'art. 420 bis cod.proc.pen., dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un'effettiva istaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (Sez. Un. 28 novembre 2019, Mhamed Darwash, non ancora depositata)."
Sul punto già la sentenza n. 9441 del 24/01/2017 in motivazione, affermava che "è stato precisato che la effettiva conoscenza del procedimento non può farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere a iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l'iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. Fattispecie nelle quali l'imputato, in occasione della redazione, in sua presenza, da parte della polizia giudiziaria dei verbali di identificazione e di sequestro del corpo del reato, nominava ed eleggeva domicilio presso un difensore, ove, da quel momento, venivano notificati tutti gli atti processuali, dei quali, però, non aveva conoscenza, avendo da subito interrotto ogni rapporto con il legale. In dette pronunce veniva rilevato che l'imputato in dette situazioni non aveva ricevuto notifica di alcun atto del procedimento ma solo di un atto ad esso prodromico, considerato non sufficiente poiché, la effettiva conoscenza del procedimento non poteva farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere ad iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l'iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro degli indagati. (Cass. n. 44123/2007; n. 39818/2010; n. 4987/2011; n. 12630/2015)".
Secondo la Suprema Corte il fondamento di tali affermazioni va rinvenuto in due significative pronunce della Corte di Strasburgo che hanno censurato il previgente regime della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale previsto dal precedente articolo 175 cod.proc.pen.. Il riferimento è, in particolare, alla decisione dell'11 settembre del 2003, relativa al procedimento Sejdovíc c. Italia, ed alla successiva sentenza, nello stesso procedimento, datata 10 novembre 2004, della Grande Camera, con le quali si censurava apertamente la legislazione italiana per l'eccessiva difficoltà di provare il difetto di conoscenza e per l'estrema brevità (dieci giorni) del tempo utile per la presentazione dell'istanza di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale.