La Suprema Corte, con la sentenza n. 19594 del 30.06.2020 ha confermato che "lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità fisica o la applicazione della detenzione domiciliare, non è ravvisabile soltanto a fronte di patologia implicante un pericolo per la vita, ma include ogni stato morboso o scadimento fisico di tale gravità ed impatto sul soggetto che ne è affetto da determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità, valore insopprimibile da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria e che richiede, nella valutazione conclusiva, la considerazione congiunta dell'esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, come riconosciuti dagli artt. 32 e 27 Cost. (sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015, dep. 2016, Petronella, rv. 265722; sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011, Buonanno, rv. 249966; sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, Aquino, rv. 244132)."
Conseguentemente, la valutazione relativa alla compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso deve essere condotta attraverso la disamina comparativa della situazione patologica e delle modalità di esecuzione della pena detentiva in ambiente carcerario ed implica un giudizio, da un lato di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici accessibili per il detenuto in dipendenza del regime impostogli, dall'altro dell'effettiva somministrazione delle cure praticabili e della loro concreta adeguatezza.
A tale valutazione, prosegue la Corte, si aggiunge la necessaria verifica della sussistenza, o meno, della pericolosità del condannato, pertanto si deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali di tutela della collettività a fronte della pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest'ultimo, includendo anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico.
Nel caso di specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Sorveglianza che nel giudizio di bilanciamento tra la tutela della salute del condannato e le esigenze di protezione della collettività aveva rilevato che, se da un lato l'ammissione a misura extramuraria aveva favorito la dismissione di comportamenti autolesivi e determinato un miglioramento dell'equilibrio psichico del condannato, dall'altro ne aveva riacutizzato le spinte criminose, il deficit di autocontrollo e la incapacità e/o la mancanza di volontà di rispettare le regole impostegli, tanto che il detenuto si era reso a lungo latitante, il che rende logica e perfettamente giustificata la prognosi negativa circa il rispetto delle prescrizioni limitative e la possibilità i recidiva.